[…] Essere convinti che, perché sia realtà la civiltà dell’amore, bisogna far irrompere nel mondo una corrente d’amore che lo invada; senza di essa ogni cosa rimane a livello di sogno, è segnata già dalla fine. […] L’amore. Insegnare ad amare. Ma sa veramente amare chi sa d’essere sinceramente amato. È una costatazione umana questa, ma che non vale meno nel campo soprannaturale. Sapere d’essere amati. Da chi? Da Colui che è l’Amore. Bisogna aprire gli occhi a più nostri fratelli possibile affinché vedano, scoprano quale fortuna essi possiedono, spesso senza saperlo. Non sono soli su questa terra. C’è l’Amore; hanno un Padre che non abbandona i figli al loro destino, ma li vuol accompagnare, custodire, aiutare. È un Padre che non carica pesi troppo gravosi sulle spalle altrui, ma è il primo a portarli. Nel caso nostro: che non lascia alla sola iniziativa degli uomini il rinnovamento della società, ma è il primo che se ne prende cura. Bisogna che gli uomini sappiano questo e ricorrano a lui consci che nulla gli è impossibile. Credere dunque d’essere amati da Dio per poter lanciarsi con maggior fede nell’avventura dell’amore e lavorare insieme a lui alla Nuova Umanità. Poi mettere al centro dei nostri interessi l’uomo e condividere con lui sventure e successi, beni spirituali e materiali. E, per bene amare, non vedere nelle difficoltà e storture e sofferenze del mondo solo mali sociali cui portare rimedio, ma scorgere in esse il volto di Cristo, che non disdegna di nascondersi sotto ogni miseria umana. È lui la molla che fa scattare le migliori energie del nostro essere – specie di noi cristiani – in favore dell’uomo. E giacché l’amore di cui parliamo non è certo solo filantropia, né solo amicizia, né pura solidarietà umana, ma soprattutto è dono che viene dall’Alto, mettersi nella migliore disposizione per acquisirlo, nutrirsi e vivere della Parola di Dio. […] E ognuno nel suo piccolo o grande mondo quotidiano, in famiglia, in ufficio, in fabbrica, nel sindacato, nel vivo dei problemi locali e generali, nelle istituzioni pubbliche della città o di più ampie dimensioni, fino all’O.N.U., sia veramente costruttore di pace, testimone dell’amore, fattore di unità.
(…) Oggi guardando indietro possiamo capire cosa poteva dirci, diversi decenni fa, quel 7 dicembre ’43, anno della nascita del nostro Movimento; afferma che un carisma dello Spirito Santo, una nuova luce è scesa in quei giorni sulla terra, luce che nella mente di Dio doveva dissetare l’arsura di questo mondo con l’acqua della Sapienza, riscaldarlo con l’amore divino e dar così vita ad un popolo nuovo, nutrito dal Vangelo. Questo anzitutto.
E, poiché Dio è concreto nel suo agire, ecco che ha provveduto subito ad assicurarsi il primo mattone per l’edificio – quest’Opera – che sarebbe stata utile al suo intento. E pensa di chiamare me, una ragazza qualunque; e di qui la mia consacrazione a Lui, il mio “sì” a Dio seguito ben presto da tanti altri “sì” di giovani donne e giovani uomini.
Di luce, dunque, parla quel giorno e di donazioni di creature a Dio quali strumenti nelle sue mani per i suoi fini.
Luce e donazione di sé a Dio, due parole estremamente utili allora, in quel tempo di smarrimento generale, di odio reciproco, di guerra. Tempo di tenebra, dove Dio pareva assente nel mondo col suo amore, con la sua pace, con la sua gioia, con la sua guida, e sembrava nessuno si interessasse di Lui.
E luce e donazione di sé a Dio, due parole che anche oggi il Cielo vuole ripeterci, quando sul nostro pianeta si protraggono tante guerre. (…)
Luce che significa Verbo, Parola, Vangelo, ancora tanto poco conosciuto e soprattutto troppo poco vissuto.
“Il concorso è stato e continua ad essere un modo per far conoscere Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, in particolare alle nuove generazioni e ad un pubblico che ha con lei un approccio di carattere culturale”, dice Giuliano Ruzzier, insegnante e collaboratore del Centro Chiara Lubich.
Il concorso è promosso dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, New Humanity e la Fondazione Museo Storico del Trentino. La tematica di quest’anno è la pace: riflettere sul significato di questa parola, di questa realtà, alla luce del contributo che ci ha lasciato Chiara Lubich. “Nel suo vasto patrimonio, considerando gli ambiti in cui lei si è espressa in maniera esplicita su questa tematica – spiega Ruzzier – abbiamo individuato quattro sotto prospettive a partire delle quali si può riflettere sulla tematica della pace”.
Le piste su cui camminare vanno dal dialogo costruttivo tra persone di religione e culture diverse al superamento delle disparità economiche, dall’impegno personale per la fraternità generando relazioni di prossimità alla diffusione di una cultura di pace. “Chiara Lubich ha guardato all’umanità intera. Noto è il suo invito ad ‘amare la patria altrui come la propria’”, continua il professore Giuliano Ruzzier. “Sicuramente qualcosa che caratterizza il pensiero e la vita di Chiara è il l’accento che dà alle relazioni di prossimità nella quotidianità. Come lei ha detto, anche la nostra giornata può riempirsi di servizi concreti, umili, intelligenti, espressioni del nostro amore. Non c’è gesto piccolo che non abbia una ricaduta sul corpo sociale”.
Il concorso è rivolto a bambini delle scuole elementari, ragazzi delle scuole medie e giovani delle scuole superiori. “Come già è successo negli anni scorsi, anche per quest’anno in modo particolare, speriamo una ampia partecipazione anche da parte delle scuole italiane all’estero giacché la tematica scelta ha una chiara portata internazionale”.
Chiediamo a Giuliano Ruzzier, cosa direbbe lui come insegnante ai suoi colleghi per consigliare di partecipare a questo bando. “A me sembra che con questo concorso venga offerta ai ragazzi la possibilità di riflettere in maniera originale e autonoma su una tematica sicuramente di grande attualità e importanza come quella della pace. Inoltre, offre anche la possibilità di confrontarsi con il pensiero significativo di una donna che ha percorso e ha vissuto in maniera particolarmente significativa il ‘900. E che si è espressa in molteplici forme”.
“Voi aspirate, voi lavorate per un mondo unito” (un mondo di pace e fraternità).
“E che cosa fate? Attività, che possono anche apparire piccole e sproporzionate, anche se significative nell’intenzione, di fronte all’obiettivo che vi siete proposti. Forse […] qualcuno di voi potrà pure lavorare direttamente nei vari organismi orientati al mondo unito.
Ma penso che – se tutto ciò sarà utilissimo – non sarà né questo né quello che vi contribuirà in modo decisivo.
Sarà piuttosto offrire al mondo […] un’anima. E quest’anima è l’amore. […]
Oggi occorre ‘essere l’amore’ e cioè sentire con l’altro, vivere l’altro, gli altri e puntare all’unità […] in tutto il pianeta. […]
Costruire, dunque, rapporti di unità” (di solidarietà) “che hanno la loro radice nell’amore.
E dovete vivere questo amore anzitutto fra di voi.
E così arrivare a realizzarlo con molti, […] fra il popolo, fra coloro che ne regolano i destini, nelle istituzioni, nelle organizzazioni piccole e grandi del mondo… Dovunque. Allora sì che le intenzioni di chi le ha messe in piedi, raggiungeranno lo scopo. E si lavorerà veramente per un mondo unito” (un mondo più pacifico).
Chiara Lubich
Questo pensiero è stato letto da Margaret Karram, Presidente del Movimento dei Focolari, durante Collegamento del 28 settembre 2024. Si può vedere facendo click qui.
Il Seminario, alla sua seconda edizione dopo la prima realizzata nel 2017 presso l’Università Federale di Paraiba a Joao Pessoa, ha riunito 15 lavori accademici realizzati da ricercatori di sei università, attorno alla Cattedra Chiara Lubich di Fraternità e Umanesimo presso l’Università Cattolica di Pernambuco (Unicap). Sono stati due giorni di presentazioni e dialogo, introdotti da un caloroso saluto del Vice-Rettore prof. Delmar Araújo Cardoso, e seguiti da una diretta streaming per un’audience complessiva di circa 350 persone.
L’evento, realizzato con il sostegno del Centro Chiara Lubich, si è svolto prevalentemente in lingua portoghese ed è stato apprezzato in modo particolare per l’apertura a una dimensione internazionale; per il consistente e qualificato contributo di relatori; per la prospettiva interdisciplinare che ha riunito, attorno al tema del linguaggio, relazioni non solo nell’ambito della linguistica ma anche del diritto, della pedagogia, della comunicazione, della sociologia, dell’architettura.
Ne emergeva, in estrema sintesi, come un linguaggio ispirato dall’amore, di cui Chiara Lubich ha saputo realizzare un modello efficace, può contribuire a costruire un mondo di pace e fraternità.
Anna Maria Rossi
(1) La Scuola Abbà è un Centro di vita e di studio voluto e fondato da Chiara Lubich nel 1990. E’ composto da membri del Movimento dei Focolari, uniti nel nome di Gesù ed esperti in varie discipline, il cui scopo è l’enucleazione e l’elaborazione della dottrina contenuta nel carisma dell’unità.
Link al II Seminario Linguistico, Filologia e Letteratura:
Sono passati 75 anni dal giorno in cui Chiara Lubich stilò lo scritto “Ho un solo sposo sulla terra”, qui riproposto. Uno scritto destinato a diventare fin dagli inizi un vero e proprio Manifesto programmatico per Chiara e per chi l’avrebbe seguita facendo propria la spiritualità dell’unità.
Il manoscritto autografo, conservato nell’Archivio Chiara Lubich (in AGMF) e vergato su un unico foglio fronte-retro, registra la data di composizione: 20-9-49. Pubblicato per la prima volta nel 1957 in modo non integrale e con alcune varianti sulla rivista “Città Nuova”, è stato poi riproposto in altre pubblicazioni di scritti chiariani, fino ad essere assunto, finalmente in modo integrale e corrispondente al manoscritto originario, in Il grido (Città Nuova, Roma 2000), libro che Chiara Lubich ha voluto scrivere personalmente “come un canto d’amore” dedicato proprio a Gesù Abbandonato.
Il brano nasce come una sorta di pagina di diario, scritta di getto. Considerando la particolare intensità lirica che lo permea, potrebbe essere definito un “inno sacro”. Tale definizione appare opportuna se si tiene conto che il termine “inno” ha origine nel greco hymnos. La parola, pur essendo di etimologia discussa, ha comunque una stretta relazione con l’antico Hymēn, il dio greco del matrimonio in onore del quale si cantava. D’altra parte, la dimensione sponsale in questo componimento è più che mai presente, anche se – e proprio perché – ci muoviamo in un contesto fortemente mistico. È proprio un “canto” d’amore a Gesù Abbandonato.
Il contesto di composizione ci riporta all’estate del 1949, quando Chiara, con le sue prime compagne, e i due primi focolarini, si trova in montagna – nella valle del Primiero, in Trentino-Alto Adige – per un periodo di vacanza. Si unisce alla comitiva, per alcuni giorni, anche Igino Giordani (Foco), che aveva avuto la possibilità di conoscere Chiara in Parlamento poco tempo prima, nel settembre del 1948, ed era rimasto affascinato dal suo Carisma.
Si tratta di un’estate definita da Chiara stessa “luminosa”, dal momento che – ripercorrendone le tappe – non esiterà ad affermare che proprio in quel periodo capisce meglio “molte verità della fede, e in particolare chi era per gli uomini e per il creato Gesù Abbandonato, che tutto aveva ricapitolato in sé”. “L’esperienza è stata così forte – rileva – da farci pensare che la vita sarebbe stata sempre così: luce e Cielo” (Il grido, pp. 55-56). Ma arriva il momento – sollecitato proprio da Foco – di “scendere dalle montagne” per andare incontro all’umanità che soffre, e abbracciare Gesù Abbandonato in ogni espressione di dolore, in ogni “abbandono”. Come Lui. Solo per amore.
Scrive allora: “Ho un solo sposo sulla terra: Gesù Abbandonato”.
Maria Caterina Atzori
20-9-49
Ho un solo sposo sulla terra: Gesù Abbandonato; non ho altro Dio fuori di Lui. In Lui è tutto il Paradiso con la Trinità e tutta la terra con l’Umanità.
Perciò il suo è mio e null’altro.
E suo è il Dolore universale e quindi mio.
Andrò per il mondo cercandolo in ogni attimo della mia vita.
Ciò che mi fa male è mio.
Mio il dolore che mi sfiora nel presente. Mio il dolore delle anime accanto (è quello il mio Gesù). Mio tutto ciò che non è pace, gaudio, bello, amabile, sereno… in una parola: ciò che non è Paradiso. Perché anch’io ho il mio Paradiso ma è quello nel cuore dello Sposo mio. Non ne conosco altri. Così per gli anni che mi rimangono: assetata di dolori, di angosce, di disperazioni, di malinconie, di distacchi, di esilio, di abandoni, di strazi, di … tutto ciò che è Lui e Lui è il Peccato, l’Inferno.
Così prosciugherò l’acqua della tribolazione in molti cuori vicini e – per la comunione collo Sposo mio onnipotente – lontani.
Passerò come Fuoco che consuma ciò che ha da cadere e lascia in piedi solo la Verità.
Ma occorre esser come Lui: esser Lui nel momento presente della vita.
Chiara Lubich Il grido (Città Nuova, Roma 2000, pp. 55-56)